Che succede al Vittoriano? Lettera aperta di Giuseppe Monsagrati

Che succede al Vittoriano?

L’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, una delle maggiori istituzioni culturali romane e sicuramente la più importante in Italia nel suo ruolo di custodia, catalogazione e valorizzazione del patrimonio documentario (manoscritto, iconografico, fotografico, bibliografico) relativo al raggiungimento dell’unità nazionale e alla costruzione dello stato liberale, attraversa la fase più critica della sua pur lunga vita iniziata nel primi anni del Novecento. Sottoposto nel 2017 a un regime commissariale in seguito a una serie di rilievi di carattere amministrativo che avevano portato all’azzeramento di tutta la direzione scientifica (nella persona del presidente, vice-presidente, segretario generale e Consiglio), l’Istituto che ha sede da tempo immemorabile al Vittoriano era stato affidato dal Ministero per i Beni culturali e le Attività culturali e per il Turismo (MIBACT) al prefetto Francesco Paolo Tronca con un incarico della durata di un anno rinnovabile una sola volta. Avvalendosi dei poteri e delle competenze attribuitigli, il Commissario aveva presto provveduto a nominare un Coordinatore scientifico a titolo interamente gratuito e, su proposta di quest’ultimo, un consiglio composto in gran parte di professori universitari di prima e seconda fascia e di un consulente del settore archivistico, anch’essi senza diritto a nessun tipo di compenso. Non era stata invece rinnovata, risultando dunque sospesa sine die, la Consulta dell’Istituto, organismo formato dai presidenti dei Comitati dell’Istituto, articolazioni periferiche dello stesso deputate a reggere la struttura associativa che sin dalle origini lo caratterizzava rispetto ad altre istituzioni similari.

I compiti di cui era investito il Consiglio prevedevano la ripresa e la prosecuzione delle pubblicazioni della semestrale Rassegna storica del Risorgimento nata nel 1913, la continuazione dell’attività editoriale, e l’organizzazione delle iniziative culturali, prima fra tutte il Congresso di Storia del Risorgimento fissato per il 20-23 novembre 2019 e dedicato al 150° di Roma Capitale. Tutto ciò, nei due anni trascorsi dal 2017, era stato puntualmente realizzato con l’uscita, dopo una lunga sosta, di tre fascicoli della Rassegna, la pubblicazione di tre volumi di fonti e atti di convegni, e il coinvolgimento nel prossimo Congresso di una ventina di studiosi italiani e stranieri. Il tutto sotto un controllo amministrativo molto rigoroso ma non tanto efficiente da risolvere problemi logistici e strutturali di antica data, quali la mancanza dell’acqua nei servizi, l’annoso guasto dell’impianto di riscaldamento fermo da più di due anni, l’assenza di pari durata dell’aria condizionata: tutti aspetti negativi di una gestione che, pur assorbendo un cospicuo finanziamento pubblico, non riesce tuttavia a sanare difetti e carenze di funzionalità presenti in ogni edificio pubblico ma altrove non destinati a cronicizzarsi. A tutto ciò si è aggiunta di recente la chiusura, anche questa sine die, del Museo del Risorgimento pure dipendente dall’Istituto, con un danno non solo e non tanto economico quanto di fruizione da parte di un pubblico di decine di migliaia di visitatori annui.

Succede intanto che nel giugno 2019 giungono a termine i primi due anni del commissariamento che automaticamente determinano anche la decadenza degli organi di direzione scientifica dell’Istituto. Per due mesi non accade nulla, poi si apprende che ad agosto un nuovo decreto ministeriale ha assegnato al dott. Tronca un ulteriore incarico di Commissario della durata di un anno. Passa ancora un mese e, quando sembra che nulla debba cambiare, a metà settembre il Coordinatore scientifico e il Consiglio vengono informati che la direzione scientifica dell’Istituto loro conferita nel 2017 è da considerarsi cessata, e che non ne viene designata una che la sostituisca. Il significato di tale ultima decisione non può che essere uno solo: una istituzione eminentemente culturale, una volta privata della sua direzione scientifica e dell’attività ad essa facente capo (oltre i congressi e le pubblicazioni, alcune mostre tematiche capaci di attrarre molti visitatori), si trova improvvisamente acefala, oltre tutto nell’imminenza del Congresso dedicato a Roma Capitale, e – quel che è peggio – viene ridotta al rango di un organismo burocratico con compiti puramente amministrativi.

Fatti come quelli appena raccontati non hanno bisogno di commenti. Quel che è certo è che non fanno onore a un paese che come l’Italia si vanta di possedere la percentuale più alta del patrimonio artistico e culturale di tutto il mondo. Nello specifico, come attestano i lavori degli studiosi che da più di un secolo frequentano la sala di studio dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, i 1200 faldoni custoditi negli scaffali dell’Istituto hanno rivestito e si spera possano rivestire ancora un ruolo di primaria importanza per la conoscenza del nostro passato.

Giuseppe Monsagrati

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